giovedì 19 marzo 2009

insulti e licenziamenti

vi segnalo l'articolo del corriere della sera
http://www.corriere.it/cronache/09_marzo_19/capo_dipendente_cassazione_46f77686-148f-11de-9dd5-00144f02aabc.shtml

che ne pensate?
G.

7 commenti:

  1. Sono d'accordo con il giudizio della cassazione, per una parola detta in un momento rabbia non si può perdere un lavoro.
    Soprattutto se non si tratta di una frase molto grave.

    Questi screzi sarebbe meglio risolverli nell'ambito dell'organizzazione, senza ricorrere alla legislazione ordinaria che fa perdere tempo, denaro e rende molto probabilmente insanabile il rapporto con il dipendente citato in giudizio.

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  2. mah, io credo che una variabile fondamentale da tenere conto sia il rispetto. Qualora il dipendente, fosse stato davvero inadempiente nel suo lavoro, allora i rimproveri dell'amministratore sono del tutto leciti, e nessuna reazione come quella del caso menzionato può essere giustificata.
    Nel momento in cui, però, l'amministratore abbia mancato di rispetto al dipendente, eccedendo nei rimproveri oppure sfruttando troppo la propria posizione di "capo", in tal caso ogni reazione, seppur verbale, è lecita. Tutti siamo uomini e con gli stessi diritti. Allora finchè si tratta di rapporti tra capo e dipendente, è scontato dire che il dipendente deve obbedire agli ordini ricevuti, ma purchè ricada il tutto in ambito democratico, senza dispotismi, come purtroppo accade sempre più spesso nella società attuale, e coloro che subiscono tutto ciò sono sempre i lavoratori. Non c'è nulla di più brutto che venire trattati non per quello che si è , ma per il compito che si svolge.

    Alfonso

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  3. Secondo il mio parere, all'interno di qualsiasi tipo di organizzazione lavorativa, per un corretto ed efficiente svolgimento dell'attività in oggetto, sia fondamentale che ognuno adempia al proprio compito e che vi sia tra i membri un livello minimo di rispetto ed educazione a prescindere dai livelli gerarchici.
    Io non credo che sia stato eccessivo parlare di insubordinazione poichè, con essa si intendende una violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza ed obbiedenza. Naturalmente c'è da considerare che la reazione del lavoratore sarà stata indubbiamente istintiva ,poco razionale e non ponderata. Quindi è stato forse eccessivo optare per il licenziamento ma d'altra parte non sono pienamente daccordo con quanto espresso dalla Cassazione ,perchè, in ogni caso, di fronte ad un episodio del genere , non si può lasciar correre ma bisogna almeno "punire" tale comportamento.

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  4. penso che il datore di lavoro nel licenziarlo abbia scelto la strada più facile per risolvere il problema. io a questo datore di lavoro gli avrei consigliato di togliersi un'attimo dalla veste di "capo" e di parlarci e di analizzare a fondo il problema. avrei adottato più una politica di coinvolgimeto in modo da trarre dei vantaggi in futuro sia in termini di relazione che in termini di lavoro. Inoltre per me un buon impronditore deve essere un grande trascinatore come il pastore che nn abbandona mai neanche una pecora del suo gregge. ovviamente se la cosa persiste per cause nn imputabili al datore di lavore nn resta altro che il licenziamento.

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  5. Prima di tutto l'educazione...ma esiste ancora? "[...]effetto di una reazione emotiva ed istintiva del lavoratore ai rimproveri ricevuti[...]"?
    La maleducazione NON SI GIUSTIFICA in NESSUN caso. Siamo uomini non animali, siamo dotati di razionalità e di controllo ed a QUALSIASI offesa ricevuta la rispota più adatta è sempre la stessa: l'intelligenza! Se riteniamo di aver agito bene e di essere stati incolpati e/o giudicati ingiustamente poco male, la vittoria più importante, quella con la nostra coscienza, è stata vinta...tutto il resto vale ben poco!
    Se invece sappiamo di aver sbagliato (perchè leggersi dentro non conduce mai all'errore e i nostri giudici siamo sempre noi stessi) occorre ammetterlo ed è qusto il primo atto di intelligenza vero, è qui che l'uomo dimostra la sua natura, è qui che dimostra di valere sul serio! Lavorare in un gruppo vuol dire anche questo: saper ammettere i propri errori in qualsiasi momento.
    Credo nelle gerarchie sociali, non lo nego, e che non tutti siamo uguali è un dato di fatto, però...il rispetto viene prima di tutto...prescinde dai gradi, dal potere, dalla subordinazione, prescinde da tutto...il rispetto è dovuto AL PROSSIMO chiunque esso sia e non perchè lo scrisse qualcuno anni fa ma perchè è un comportamento consequenziale, che scaturisce naturalmente dal vivere in società.
    Non posso fare a meno di citare il nome che abbiamo scelto per il nostro gruppo, che trovo mai come ora adattissimo all'argomento di discussione: L'UOMO E' UN ANIMALE SOCIALE, non dimentichiamolo, la parola chiave è proprio questa: "sociale", con tutti i suoi annessi e connessi. Ritornando all'articolo beh non mi trovo d'accordo con il giudizio della Corte di Cassazione, senza dubbio gi insulti saranno stati forti e mortificanti ma ripeto, se la coscienza è pulita è inutile abbassarsi a certi livelli, anzi aggiungo un parere forse un po' troppo personale: rispondere con aggressività, infervorarsi a tal punto non trovate sia un'ammissione inconscia di colpa? I segreti della nostra mente...alterasi in quel modo è come dire senza ammetterlo "sono stato io" ed a quel punto gli insulti in risposta non hanno motivazione, concordate?

    Chiedo scusa al professore per l'eccessiva retorica e per aver trattato l'argomento di discussione troppo alla larga.
    Eliana Veronica Sacchettino.

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  6. sicuramente questo non è nè il primo nè l'ultimo caso di malcontento di un lavoratore, che reagisce, forse in modo sbagliato, nei confronti del suo datore di lavoro.
    ma sono del parere che ciò non è dovuto al lavoratore ma da una leadership autoritaria, che ne approfitta e che non sa porsi dei limiti, o forse è dovuta all'ignoranza nel rispetto altrui che molti datori di lavoro soprattutto, al sud hanno. soprattutto nei lavori più umili chi comanda pretende sempre di più e tutto gli è dovuto dimetnicandosi la dignità umana.
    comunque, per non prolungare troppo il discorso, volevo solo dire che sono pienamente daccordo con la decisione presa dalla cassazione, poichè da quel che evince dal testo il lavoratore era arrivato ormai all'esasperazione per tutti i richiami, reagendo sempre di più in modo alienatorio per la forte demotivazione, per poi arrivare a dire ciò che pensava in quel momento.

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  7. sicuramente il ricorso alla giustizia ordinaria è costoso, e quindi, il vostro collega Seraph ha ragione a mettere in evidenza l'anti-economicità del ricorso alla giustizia ordinaria.
    Alfonso ha ragione a ricordare il tema dell'equità del trattamento. Esiste una teoria motivazionale che fa riferimento direttamente al tema dell'equità. se volete un approfondimento su questo potete sollevare il tema al corso.
    L'opinione di Mallibu è diversa perhce sottolinea l'opportunità dell'intervento per dare "l'esempio" e dimostrare che alcuni comportamenti non sono comunque ammessi.
    Falco invece propone un "nuovo tentativo": riproviamo e se il problema persiste allora si taglia!
    Elimania sottolinea sia il fatto che gli uomini hanno una dimensione sociale ineliminabile, sia il fatto che nelle relazioni interpersonali vi è una esigenza fortissima di salvaguardare il rispetto reciproco.
    Infine, il commento di veronika che è pienamente d'accordo con la cassazione e ricorda gli inconvenienti dell'alienazione.
    Come vedete prospettive diversissime su un singolo articolo, che è un fatto di cronaca ma che descrive un problema organizzativo essenziale: i rapporti tra individuo ed organizzazione.

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